I barbari e l'impero romano

Alla fine del quarto secolo la situazione sociale dell’impero romano, per lo meno nella sua parte occidentale, era analoga a quella che si sarebbe verificata più di un millennio dopo in Francia, alla vigilia della rivoluzione: da un lato un clero e una nobiltà senatoriale onnipotenti, proprietari della quasi totalità delle terre coltivabili; dall’altro la gran massa della popolazione oppressa e impoverita. Una situazione  esplosiva, che, come più tardi in Francia, dette luogo ad una serie di rivoluzioni sociali, note agli storici come rivoluzioni “bagaude”.

I bagaudi erano bande armate, formate da schiavi ribelli, artigiani e contadini rovinati dal fisco, soldati disertori e fuoriusciti di ogni genere uniti dall’odio verso le classi dominanti, contro cui  si rivoltarono,  bruciando le chiese, espropriando le terre e uccidendo o riducendone in schiavitù i proprietari. Ribellioni bagaude si verificarono a più riprese in occidente, a partire dalla seconda metà del quarto secolo, in Gallia, in Spagna e nel Norico, e assorbirono una notevole parte degli sforzi militari dell’impero d’occidente per la loro repressione. Erano il nemico numero uno della classe dominante  e furono schiacciati senza pietà dai grandi campioni di famiglia, Flavio Stilicone, Flavio Costanzo e Flavio Ezio, che in questa lotta senza quartiere seppero utilizzare a proprio vantaggio in vari modi le popolazioni barbariche.

E’ in questa situazione, infatti, che si innestano le grandi “ invasioni” barbariche, ritenute dagli storici le dirette responsabili della cosiddetta “caduta” dell’impero romano d’occidente.  Una velocissima carrellata degli avvenimenti che hanno caratterizzato il periodo delle invasioni barbariche consentirà di vedere sotto una ben diversa prospettiva il ruolo che queste ultime hanno avuto nel tramonto dell’istituzione imperiale in occidente e quello ben più importante svolto invece dalla famiglia sacerdotale.

Quando Teodosio morì, nel 395, la famiglia sacerdotale, si è detto, era al culmine della sua potenza e l’impero romano al culmine della sua estensione. Da lungo tempo, però, intere popolazioni barbariche erano già insediate entro i suoi confini ed erano state in qualche modo assimilate. La maggior parte di questi insediamenti era avvenuta in maniera pacifica e per deliberata volontà delle stesse classi dirigenti romane [1] .

Da una analisi obiettiva degli avvenimenti di quell’epoca, infatti, risulta in maniera incontrovertibile  che i barbari furono sempre deliberatamente utilizzati dai romani,  non soltanto per difendere l’impero dalle aggressioni esterne, ma anche per combattere guerre intestine per la conquista della carica imperiale e perfino per  difendere i privilegi della classe dominante nei confronti della stessa  popolazione romana amministrata. [2]

Era stato proprio il Sol Invictus a iniziare la politica di accoglimento e assimilazione dei barbari entro i confini dell’impero, che, non va dimenticato, era costituito da una miriade di popolazioni diverse, per cui i barbari non erano percepiti come un corpo estraneo, una volta accolti entro i confini.

Aureliano, nel 273, aveva incorporato nel suo esercito un gruppo numeroso di Vandali. Pochi anni dopo,  Probo aveva stanziato intere popolazioni di Franchi, Bastami e Svevi in Anatolia e Britannia. Questa politica fu proseguita, fra alterne vicende, da quasi tutti i suoi successori, soprattutto dopo la riforma militare di Costantino, che divise l’esercito in truppe “limitanee”, stanziate lungo i confini, e legioni “comitali”,  stanziate nelle città all’interno e soggette ad essere spostate rapidamente da un capo all’altro dell’impero. La riforma aumentava le necessità di reclutamento di soldati, che però veniva reso sempre più problematico a causa della concessione di ampi privilegi ed esenzioni ai grandi proprietari terrieri [3] ,  e cioè classe senatoriale e  clero.

Il ricorso al reclutamento di guerrieri barbari, quindi, divenne sempre più necessario e sempre più massiccio, soprattutto per rimpolpare con poca spesa le legioni limitanee. Intere popolazioni barbariche vennero stanziate lungo i confini, in qualità di “federati”,  e sedentarizzate con la distribuzione di terre coltivabili. In cambio essi provvedevano alla difesa del confine stesso nei confronti anche dei loro stessi connazionali  che si trovavano al di là. Tale, per esempio, fu lo stanziamento dei Franchi Salii e dei Franchi Ripuari lungo la frontiera del Reno inferiore e successivamente degli Alemanni nell’attuale Svizzera.

Ma anche le legioni comitali facevano un uso sempre più massiccio di ausiliari barbari. La fame di soldati barbari era cresciuta a tal punto, che quando nel 376 duecentomila Visigoti, premuti dagli Unni, chiesero a Valente, imperatore d’Oriente, il permesso di entrare nell’impero, egli  lo concesse immediatamente, con il miraggio di risolvere i propri problemi di reclutamento [4] . Furono le stesse legioni romane di confine ad aiutare i Visigoti ad attraversare il Danubio.

I calcoli di Valente si rivelarono sbagliati e furono vanificati dall’avidità e incompetenza di alcuni suoi alti ufficiali, che trasformarono quell’operazione in un disastro. Due anni dopo, infatti, nel  378, Valente fu ucciso dagli stessi Visigoti, insieme a tutto il suo esercito, nella battaglia di Adrianopoli.

Il successore di Valente, Teodosio, stipulò con i Visigoti un trattato in cui veniva concesso loro lo stato di “federati”  e il possesso di un territorio in Pannonia. In cambio i Visigoti si impegnavano a difendere l’impero quando richiesti. Un gran numero di essi, infatti, vennero arruolati nell’esercito e combatterono agli ordini di Flavio Stilicone, che viene ritenuto da molti storici di origine vandala, anche se la cosa è tutt’altro che certa.

Egli era stato nominato generale da Teodosio in persona, di cui aveva sposato la nipote Serena [5] , e aveva proseguito a servire in occidente l’imperatore Onorio, a cui aveva dato in sposa la propria figlia Maria. Egli impiegò un esercito composto in gran parte da truppe gotiche e altri germani, per respingere i Sassoni dalla Britannia e i Vandali e gli Alani dal confine del Reno. Poi però, quando i Visigoti,  guidati da Alarico, istigati dal reggente di Costantinopoli Eutropio, invasero l’Italia, Stilicone li respinse con un esercito composto dalle legioni ritirate dalla Britannia, nel 401, rinforzate da contingenti di Vandali e Alani, che furono poi stanziati in Italia in qualità di “federati”.

Nel 405 un’orda di Sarmati e Ostrogoti, guidati da Radagaiso, oltrepassarono il Danubio sotto  la pressione degli Unni e calarono in Italia;  Stilicone li annientò a Fiesole, vicino a Firenze, alla testa di un esercito composto in gran parte da Visigoti, Alani e Unni. La situazione parve precipitare all’improvviso nell’inverno del 406. Fu un inverno particolarmente rigido, durante il quale il fiume Reno era ghiacciato completamente; su di esso, il 31 Dicembre di quell’anno, una valanga di barbari, Vandali, Sarmati, Alani, Svevi e Alemanni, in tutto più di duecentomila persone, attraversarono il confine dell’impero a Magonza, sopraffecero i presidi romani (composti in gran parte da truppe di Franchi) e dilagarono nella Gallia, abbandonandosi a saccheggi e distruzioni.

I Galli chiamarono in aiuto Flavio Claudio Costantino, che era  stato proclamato imperatore in Britannia col nome di Costantino III. Questi, alla testa di truppe interamente britanniche, riuscì a conseguire alcune vittorie sui barbari, conferì a numerose orde barbariche lo statuto di “federati”, rendendoli stanziali,  e spinse i rimanenti, in  particolare Vandali, Alani e Suebi, verso la Spagna. Infine, stabilì la propria capitale ad Arles, nel sud della Gallia, proclamandosi imperatore d’occidente, in opposizione ad Onorio, che regnava a Ravenna.

Stilicone, fedele al genero Onorio,  si apprestava a riconquistare la Gallia, alla testa di un esercito di Visigoti, quando fu arrestato e decapitato dallo stesso Onorio, nel 408, con l’accusa di tradimento [6] . Fu un tragico errore.  Il re visigoto Alarico, fedele a Stilicone,  scese in Italia, fece deporre Onorio e insediò sul trono imperiale il prefetto della città di Roma, Attalo, pretendendo in cambio la nomina a comandante in capo dell’esercito romano.

Attalo rifiutò, per cui Alarico lo depose e reinsediò sul trono imperiale Onorio, il quale, però, rifiutò a sua volta di mantenere i patti, per cui Alarico nell’agosto del 410 come rappresaglia sottopose  Roma ad un saccheggio, durato tre giorni. Era il primo saccheggio della capitale in  otto secoli, per cui l’impressione attraverso l’impero fu immensa, ben superiore ai danni materiali subiti dalla città e dalla popolazione romana.

Poco dopo Alarico morì, a Cosenza, e il suo successore, Ataulfo, si pose nuovamente al servizio di Onorio,  offrendosi di riconquistare in suo nome la Gallia, dove nel frattempo un altro nobile romano, Flavio Giovino, si era insediato a Treviri, proclamandosi imperatore, in aggiunta a Costantino III, che regnava ad Arles.

I Visigoti furono messi alle dipendenze del nuovo comandante dell’esercito di  Onorio, Flavio Costanzo, che fu inviato in Gallia per porre termine alla secessione. Costanzo, nel 412, sconfisse e uccise Costantino III, poi scatenò Ataulfo contro Giovino, che fu a sua volta ucciso. Subito dopo, Costanzo mandò i Visigoti in Spagna con l’incarico di annientare i Vandali, Alani e Svevi che, dopo esservi stati respinti da Costantino III, vi avevano instaurato dei regni indipendenti.

I Visigoti a varcarono i Pirenei, annientarono i Vandali Silingi e gli Alani e respinsero gli Svevi in Galizia e i Vandali Asdingi nell’estremità sud della penisola, riconquistando gran parte della Spagna.

Qui, a Narbona, il 1° gennaio 414, Ataulfo sposò la sorella di Onorio, Galla Placidia, indossando abiti romani e circondandosi di funzionari romani. I Visigoti, lungi dal costituire una forza distruttrice, erano divenuti ormai una colonna portante dell’impero. Il matrimonio con Galla Placidia  conferiva al figlio di Ataulfo, nato l’anno seguente, i diritti della Gens Flavia; egli infatti lo chiamò con il nome augurale di Flavio Teodosio, come il nonno materno, candidandolo in tal modo esplicitamente  ad un avvenire imperiale. Poco dopo, però, il piccolo Teodosio morì,  Ataulfo fu ucciso dagli stessi Visigoti e Galla Placidia fu riconsegnata ad Onorio, a Ravenna.

Nel 418 Costanzo richiamò i Visigoti in Gallia e li stanziò come federati in Aquitania, assegnando loro delle terre coltivabili, in qualità di “hospites” dei grandi latifondisti, che a tale scopo misero a disposizione parte delle loro proprietà.  Questo stanziamento, che di fatto legava gli interessi dei Visigoti a quelli dei grandi proprietari terrieri,  fu effettuato quasi certamente per dotare l’Aquitania di un presidio permanente contro l’estendersi delle rivolte bagaude [7] .

Approfittando dell’invasione barbarica del 406, infatti, tutta la provincia dell’Armorica (poi Bretagna e Normandia) era insorta per opera dei bagaudi, che vi avevano istituito un’amministrazione indipendente. Fu soltanto nel 418 [8] , dopo essersi coperto le spalle in Aquitania con l’insediamento dei Visigoti, che Costanzo riuscì a schiacciare la rivolta e ristabilire l’ordine nell’Armorica.

Costanzo utilizzò popolazioni barbariche anche per rafforzare le difese della Gallia contro possibili nuove invasioni dalla Germania. Egli, infatti, confermò il trattato di federazione con i Franchi Salii e i Franchi Ripuari, distribuendo loro terre coltivabili lungo il confine del Reno.

Costanzo sposò poi la vedova di Ataulfo, Galla Placidia, da cui ebbe un figlioletto, il futuro Valentiniano III. Nel 417 era stato nominato console e nel febbraio del 421 Onorio lo nominò augusto, col nome di Costanzo III.  L’impero d’occidente parve ritrovare l’antica grandezza e sicurezza, sotto una guida stabile e valorosa, ma fu un’illusione che durò soltanto pochi mesi. Nel settembre dello stesso anno Costanzo morì.

Pochi anni dopo, nel 423, morì anche Onorio  e gli succedette il giovanissimo nipote Valentiniano III, sotto la tutela della madre Galla Placidia. Donna piissima, ma energica e risoluta, essa trovò un valido successore a Stilicone e Costanzo in Flavio Ezio, l’ultimo dei grandi generali romani. Figlio del prefetto del pretorio Giovio, Ezio era stato condotto via da Roma come ostaggio da Alarico, e aveva poi vissuto qualche tempo alla corte del re degli Unni Rua. E infatti Ezio, fino al 450, impiegò nel suo esercito forti contingenti di Unni, oltre ai barbari  delle varie etnie germaniche. Gli Unni erano soldati valorosi e fidati, che militavano anche nell’esercito dell’oriente, tanto che il vescovo di Cirene, Sinesio, per difendere la propria città dalle incursioni di predoni del deserto, aveva chiesto a Costantinopoli l’invio proprio di un contingente di Unni [9] .

Per trent’anni, dal 424 al 455,  Flavio Ezio fu il vero dominatore dell’occidente, ma concentrò i suoi sforzi quasi esclusivamente nelle Gallie e in Italia, abbandonando la Britannia a se stessa e il Nord Africa ai Vandali di Genserico. Questi, sotto la pressione dei Visigoti, nel 429 avevano lasciato la Spagna e invaso l’Africa, ponendo l’assedio a Ippona, la città di S. Agostino (il quale morì durante l’assedio), che cadde nel 430. Nove anni dopo conquistarono Cartagine, istituendovi un regno indipendente. 

Ezio fu impegnato principalmente su due fronti: da una parte dovette riportare all’ordine le popolazioni barbare stanziate sul territorio come federati dai suoi predecessori, Visigoti e Franchi principalmente, e respingere massicce invasioni dall’esterno, in particolare Burgundi e Alemanni e per finire i suoi ex amici Unni.

Dall’altra fu impegnato a reprimere una serie di rivolte  bagaude che erano scoppiate nuovamente nell’Armorica, nel Norico e in varie altre località della Gallia. Nel 437 inflisse una sanguinosa sconfitta ai Burgundi (impiegando truppe in gran parte di Unni), che avevano invaso la Gallia. Nel 443 stanziò nella Savoia, in qualità di federati,  quel che restava della loro popolazione, assegnando loro terre coltivabili con il sistema della “hospitalitas”, come per i Visigoti, e quasi certamente con lo stesso obiettivo, e cioè costituire un presidio permanente contro ulteriori rivolte bagaude [10] .

Egli rinnovò il trattato di federazione con i Franchi Salii di Meroveo (capostipite dei Merovingi), che furono stanziati nel Belgio meridionale. Trattò poi con i Visigoti, riconoscendone lo stanziamento nella Gallia Narbonese, fino a che si trovò a fronteggiare, nel 451, una massiccia invasione delle Gallie da parte degli Unni [11] , guidati da Attila, che aveva creato un vasto regno al centro dell’Europa.

Attila fu sconfitto ai “campi catalaunici”, presso Troyes, nello Champagne, da un esercito romano composto in gran parte da Visigoti (il cui re Teodorico  morì nella battaglia), Burgundi e Franchi Salii (guidati dal re Meroveo) e dovette ritirarsi. L’anno dopo, però, Attila invase l’Italia, distrusse Aquileia e saccheggiò Milano e Pavia. Si ritirò poi dalla penisola in seguito ad un incontro, presso Mantova, con papa Leone, che lo implorò di concedere un armistizio, offrendogli un tributo annuo. [12]

Ezio, nel frattempo, era caduto in disgrazia, perché accusato di collusione con gli Unni, non avendoli sterminati ai campi catalaunici. Valentiniano III lo fece sgozzare a Roma, in sua presenza, nel 454. L’anno dopo, anche Valentiniano fu assassinato, per vendetta, da due fedeli sostenitori di Ezio. Con lui ebbe termine la dinastia teodosiana.

Con la scomparsa di Ezio e di Valentiniano III, la carica imperiale in occidente entrò in coma. Gli avvenimenti successivi furono una drammatica agonia, talvolta grottesca, che doveva durare per un altro ventennio, durante i quali le varie etnie barbariche si contesero il diritto di nominare l’imperatore. Cominciò il re vandalo Genserico, che l’anno 454  sbarcò nel Lazio ed entrò a Roma, senza incontrare resistenza. Papa Leone ottenne che agli abitanti della città fossero risparmiati i massacri e le torture, ma il saccheggio e le distruzioni sistematiche durarono due settimane intere. Ritirandosi dalla penisola, Genserico portò con sé a Tunisi un immenso bottino di oro e gioielli e tutti i trofei delle vittorie romane, ivi compresi, sembrerebbe, gli arredi del tempio di Gerusalemme, che Tito aveva portato a Roma tre secoli prima.

Egli prese prigioniere anche la moglie di Valentiniano III, l’imperatrice Eudossia, e le sue due figlie, Eudocia, che diede in moglie al proprio figlio Unerico, e Placidia, moglie del  senatore romano Flavio Anicio Olibrio, che in quel momento si trovava a Costantinopoli. Si sentì così intitolato ad interferire nelle vicende politiche dell’impero d’occidente e propose Olibrio come proprio candidato alla porpora imperiale.

Gli aristocratici della Gallia,  però, in accordo con il visigoto Teodorico II, gli contrapposero un proprio candidato, il prefetto delle Gallie Flavio Eparchio Avito, nobile romano dell’Auvergne. Questi, però, fu sconfitto e ucciso, dopo appena quindici mesi di regno, da un ex ufficiale di Ezio, lo svevo Ricimero, che assunse la carica di “magister militum”,  e insediò al suo posto Flavio Giulio Valerio Maioriano (461), per rimpiazzarlo dopo qualche mese con  un altro nobile romano, Libio Severo (461-465). I Franchi, però, gli contrapposero in Gallia un loro candidato, un ex ufficiale di Maioriano, il senatore Flavio Egisto, contro cui Ricimero scatenò Teodorico, re dei Visigoti, che venne però sconfitto a Orleans.

Ricimero, allora, in accordo con l’imperatore di Costantinopoli Leone I,  nominò imperatore il greco Antemio (parente dello stesso Leone I), di cui sposò la figlia. Genserico reagì devastando il Peloponneso e distruggendo una flotta bizantina, che Leone I aveva inviato di fronte a Tunisi. Ricimero fu costretto a riconoscere imperatore il candidato di Genserico, Flavio Anicio Olibrio, che però morì poco tempo dopo, nel 473.

Il successore di Leone I, Zenone, mandò allora a Ravenna un nuovo imperatore per l’Occidente, Giulio Nepote. Questi nominò comandante delle sue truppe un nobile romano della Pannonia di nome Oreste, che aveva servito  Attila come segretario (non va dimenticato che gli Unni erano stati stanziati in Pannonia, al posto dei Visigoti, nel 409 in qualità di federati, cioè alleati dei romani). Quello stesso anno Oreste si ribellò e cacciò Giulio Nepote dall’Italia, insediando, il  23 Ottobre 475, come imperatore il proprio figlio adolescente Romolo Augusto (sprezzantemente denominato Augustolo dall’imperatore d’oriente Zenone).

Oreste venne ucciso l’anno dopo, il fatidico 476, dal suo comandante dei mercenari, Odoacre, che era figlio di uno dei più stretti collaboratori di Attila,  il generale Edecone, a suo tempo collega di Oreste.  Odoacre mise insieme un esercito costituito da soldati barbari di varie etnie, Sciri, Turcilingi, Eruli e Rugi, (con la promessa, poi mantenuta, di distribuire loro terre coltivabili in Italia), costrinse Romolo Augustolo a rassegnare le dimissioni,  relegandolo poi in una splendida villa nel golfo di Napoli, e, tramite il Senato romano, si fece assegnare il titolo di patrizio, con l’incarico di curare gli affari politici e militari dell’Italia per conto dell’imperatore di Costantinopoli, Zenone, di cui riconosceva l’autorità.

Ormai, però, si trattava di un riconoscimento puramente formale. Di fatto l’occidente era una costellazione di “entità” (non si possono ancora definire “stati”) indipendenti, dominate da sovrani barbari e da nobili romani, che erano emerse quasi per forza d’inerzia dal disfacimento dell’autorità centrale.


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[1] Fino al 406 d.C., infatti, nessuna popolazione barbarica era mai riuscita ad entrare nell’impero e rimanervi senza il consenso dei romani.  I popoli barbarici invasori, infatti, erano sempre stati sterminati o respinti oltre confine, a cominciare dai Cimbri e Teutoni annientati da Mario, per finire coi i Goti sconfitti da Claudio il Gotico (antenato di Costantino), ai Sarmati, Alani, Svevi, Franchi, Sassoni e così via, respinti oltre confine da Aureliano, Probo, Costantino e Giuliano, alla fine del terzo e nel corso del quarto secolo, fino agli ostrogoti di Radagaiso, distrutti da Stilicone a Fiesole nel 405.
[2] Una lettura illuminante a questo proposito è il libro “Romans & Barbarians – The decline of the western empire”  in cui il Prof.  E.A.Thompson, dell’Università del Winsconsin, fa un’analisi approfondita  delle condizioni dei barbari nell’impero romano.
[3] Tradizionalmente la leva militare era fatta fra i contadini e i piccoli proprietari liberi, che con l’estendersi dei latifondi vennero progressivamente a scomparire.
[4] L’anno prima, infatti, Valente aveva emesso un decreto che revocava in oriente i privilegi concessi ai grandi proprietari terrieri in materia di reclutamento; ma gli effetti del decreto non si erano ancora fatti sentire.
[5] Se davvero Stilicone era di origine vandala, egli deve aver assunto il nome Flavio dopo aver sposato la nipote di Teodosio, Serena. Questo non gli dava il diritto ad aspirare alla porpora imperiale, ma lo dava a suo figlio Eucherio.
[6] Accusa probabilmente giustificata. Onorio forse temeva che il generale volesse proclamare augusto il proprio figlio Flavio Eucherio, che grazie alla madre apparteneva di diritto alla Gens Flavia, e per il quale Stilicone aveva chiesto in moglie la sorella di Onorio, Galla Placidia.
[7]   E.A. Thompsom, Romans and Barbarians, University press Winsconsin, pag. 31 seg.
[8] E.A. Thompsom, Op. citata, pag. 32
[9] W. Seston, Il declino dell’impero romano d’occidente, Propilei, vol 4, pag. 604
[10]   E.A. Thompsom, Op citata, pag. 33 seg.
[11] Erano stati chiamati in Gallia in aiuto di una rivolta di Bacaudi
[12] Il vescovo spagnolo Idazio, però, riferisce nelle sue cronache che il precipitoso ritiro di Attila fu dovuto alla notizia che un esercito bizantino era entrato in territorio unno, minacciando la sua capitale.(vedi E.A. Thompsom, Romans and Barbarians, University press Winsconsin, pag 150 seg.)