La lotta con l'angelo

Prima che avesse luogo l'incontro con Esaù, Giacobbe fu protagonista di un episodio misterioso, che gli esegeti tentano di spiegare solitamente in chiave magico- simbolica: "Giacobbe rimase solo con e un angelo lottò con lui fino all'aurora. Quando vide che non aveva prevalso su di lui, lo colpì all'articolazione del femore, che si slogò e gli disse: "Lasciami andare, perché è sopraggiunta l'aurora". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò andare se prima non mi benedici." L'angelo disse: "Qual è il tuo nome?" "Giacobbe" egli rispose. Al che l'altro disse: "Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché hai conteso con Elohim e con gli uomini, così che alla fine hai prevalso". (Gn.32,24-28).

Dal contesto narrativo appare evidente che si tratta della descrizione di un fatto realmente accaduto. Un'accurata analisi del testo può aiutarci a capire cosa sia successo in realtà. Innanzitutto l'ambientazione temporale e topografica del fatto: è accaduto, immediatamente prima dell'incontro con Esaù, a Peni-El, sulla riva destra dello Jabbok, affluente principale del Giordano, che sfocia a nord del più importante e trafficato guado del fiume. Peni-El è il nome che lo stesso Giacobbe assegnò alla località, proprio in seguito al suo incontro con l'angelo; si trovava nei pressi di Mahanaim, dove era stanziata la guarnigione egizia a cui Giacobbe si era rivolto per avere protezione.

In Genesi 35,9-10 si riferisce che "Elohim apparve di nuovo a Giacobbe durante la sua venuta da Paddam Aram e lo benedisse. Ed Elohim proseguì dicendogli: ‘Il tuo nome è Giacobbe. Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele.’  E gli metteva nome Israele". Si tratta evidentemente di un doppione dei versetti di Genesi 32,24-28 e si riferisce allo stesso personaggio ed al medesimo episodio, dal momento che non possiamo pensare che il nome "Israele" sia stato dato a Giacobbe da due personaggi diversi in due circostanze diverse. Era un'usanza tipica degli egizi quella di dare un nome egizio ai forestieri che entravano nel Paese. Anche Abramo e Sara ebbero un nuovo nome (Gn.17,5) e l'uso è ampiamente documentato dagli scritti egizi dell'epoca. [1] Il cambio di nome, quindi, era associato ad una autorizzazione a risiedere in territorio egizio.

Il personaggio che "benedisse" Giacobbe e gli cambiò nome, viene indicato come Elohim, il che significa che era il faraone, oppure qualcuno che agiva in suo nome, o meglio, qualcuno che in seguito diventò faraone.  Questa seconda eventualità appare quella più corretta, perché in Genesi 32,28-30 si dice che a cambiare nome a Giacobbe e a benedirlo fu lo stesso "angelo" con cui aveva lottato. La parola "angelo" indica appunto che non era il faraone, ma un suo rappresentante: un soldato comunque. Inoltre in questi versi viene chiaramente detto che il cambio di nome e la "benedizione", furono una conseguenza immediata e diretta della lotta sostenuta da Giacobbe.

L'angelo era evidentemente il comandante delle truppe di Mahanaim. Fu con lui in persona che Giacobbe lottò. Non fu una schermaglia verbale e neppure un duello armato. Il racconto è sufficientemente chiaro da non lasciare il minimo dubbio sulla natura dello scontro: i due contendenti erano soli e lottavano l'uno contro l'altro evidentemente a mani nude, perché non facevano impiego di armi di nessun tipo. Lo scontrò terminò con i due contendenti sani e salvi, fatta eccezione per una lussazione all'anca riportata da Giacobbe. Alla fine i due si lasciarono amichevolmente. Si trattò quindi con tutta evidenza di un incontro che potremmo definire di "lotta libera".

Se la natura dell'incontro è chiara, non lo sono i motivi che l'hanno originato e la posta in gioco. Quanto ai primi: i faraoni della XVIII dinastia avevano un vero e proprio culto per la prestanza fisica, tanto che i monumenti e le stele dell'epoca sono pieni dei resoconti delle loro imprese "sportive". Era una vera e propria mania che si può presumere avesse contagiato soprattutto il braccio forte del faraone, il suo esercito. E' facile, quindi immaginare che l'ufficiale che comandava le truppe di Mahanaim fosse un tipo atletico e sportivo, fiero della sua forza ed abilità e desideroso di darne dimostrazione.

Giacobbe era robusto e dotato di una forza straordinaria (infatti in Genesi 29,10 si dice che spostò da solo una pietra che normalmente richiedeva l'intervento di parecchi uomini). Niente di strano che fra i due sia stata lanciata una sfida amichevole  a lotta libera; rientra nel carattere dei personaggi e dei tempi. La posta in gioco? Al termine dell'incontro Giacobbe chiese la "benedizione"; ricordando quanto si è detto a proposito della benedizione di Isacco e degli altri, si tratta evidentemente di un documento attestante il diritto di Giacobbe ad entrare in Palestina e a risiedervi.

L'angelo, cioè il comandante delle truppe egizie, al termine dell'incontro era pieno di ammirazione per Giacobbe, che aveva saputo tenergli testa, e gli concesse evidentemente di buon grado l'autorizzazione e fu probabilmente lui stesso che esercitò pressioni su Esaù, riportando la pace fra i fratelli e salvando in tal modo Giacobbe da sicura rovina.


[1] F. Cimmino, Vita quotidiana degli Egizi, Rusconi, Milano 1985, p. 37.