Sodoma - la perla del Giordano

Dove sorgeva Sodoma

Per  qualche misteriosa ragione gli esegeti moderni collocano la Pentapoli nel bacino meridionale del Mar Morto[1]; ed è qui infatti che sorge la Sodoma moderna. Nonostante approfondite ricerche archeologiche, nessuna resto di città anteriore al Medio Evo è mai stato trovato sulle sponde meridionali di questo mare, né è stata rinvenuta alcuna traccia da cui si possa desumere che qualche città sia sorta nell'area attualmente occupata dalle acque. D'altra parte sembra geologicamente accertato che l’estensione del Mar Morto non abbia subito modifiche sostanziali dalla fine del Pleistocene; men che meno in epoca storica. Ciononostante gli esegeti insistono nel collocare la Pentapoli nel bacino meridionale di questo mare e l'unica ragione che viene addotta per questo fatto è che qui ... l'acqua è poco profonda.[2]

La cosa è tanto più sorprendente in quanto le indicazioni contenute in Genesi 13,8-13 sono talmente chiare ed esplicite da non lasciare adito al minimo dubbio: "Allora Lot alzò gli occhi ed osservò la valle del Giordano, perché era tutta irrigata prima che Jahweh distruggesse Sodoma e Gomorra, fino a Soar. E Lot scelse per sé la valle del Giordano e risiedette nelle città della valle e prese dimora a Sodoma.". Ed è proprio qui, nella valle del Giordano, inequivocabilmente a nord del Mar Morto che ritroviamo anche i seguito alcune delle città della Pentapoli, come ad esempio Adama, che esisteva ancora ai tempi di Giosuè e si trovava poco a nord del punto in cui egli attraversò il Giordano (Gs.2,16). Pertanto qualunque illazione che ponga la Pentapoli in zona diversa è priva di fondamento nella Bibbia.

Come fu distrutta

 Non meno sorprendente è il fatto che gli esegeti attribuiscano da sempre la distruzione di Sodoma e Gomorra ad una non meglio precisata catastrofe naturale. C'è chi è arrivato persino ad invocare avvenimenti geologici avvenuti milioni di anni fa, addirittura ipotizzando una sorta di memoria ancestrale, che avrebbe tramandato dalla notte dei tempi il ricordo di chissà quale fenomeno vulcanico, per innestarlo nel filone del racconto biblico.[3]

 A parte il fatto che non esiste fenomeno vulcanico che assomigli in qualche modo agli eventi che portarono alla distruzione della Pentapoli; che il Mar Morto possiede la sua attuale configurazione da più di diecimila anni,; che nell’area non sono mai esistiti vulcani e che non si vede come possa piovere zolfo dal cielo in modo naturale, c'è da osservare che l'episodio non presenta imprecisioni o nebulosità che possano neppure lontanamente far sospettare una tale origine, ed è ambientato sia geograficamente che temporalmente in modo così preciso e coerente, che non ci può essere il minimo dubbio si tratti di un episodio cui Abramo assistette di persona. E si tratta, al di là di ogni ragionevole dubbio, di un fatto militare.

Chi la distrusse

Il racconto inizia con l'arrivo al campo estivo di Abramo, alle querce di Mamré, di tre personaggi indubbiamente umani: "Abramo alzò gli occhi ed ecco che tre uomini stavano in piedi presso di lui, e appena li ebbe visti corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra dicendo: "Mio signore, ti prego, se ho trovato grazia ai tuoi occhi non passare oltre dal tuo servo. Lasciate che vada a prendere un po' d'acqua per lavarvi i piedi e stendetevi sotto l'albero.". Quello dei tre personaggi cui competeva il titolo di Jahweh aveva deciso di distruggere Sodoma, perché colpevole di un grave peccato, non meglio specificato (Gn.18,21), che gli esegeti hanno da sempre voluto identificare con il trattamento che i sodomiti minacciarono ai messaggeri inviati loro successivamente in un estremo tentativo di salvare la città (Gn.19,5).

Abramo accompagnò i tre ospiti fino ad un poggio da cui si poteva dominare Sodoma dall'alto (Gn.18,16). Qui egli intercesse accoratamente per salvarla, ma ottenne solo la salvezza di Lot, che venne praticamente trascinato fuori a forza: "Lot indugiava, onde gli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue figlie, per un atto di misericordia di Jahweh verso di lui, lo fecero uscire e lo condussero fuori dalla città" (Gn.19,16). Solo allora poté aver inizio la distruzione; dal cielo piovvero zolfo e fuoco sull'abitato, che si incendiò. Un'operazione chiaramente limitata alla città stessa , perché Abramo dall'alto osservava la scena e vedeva il fumo levarsi "come da fornace" (Gn.19,27); si trattava cioè di un incendio circoscritto ad un'area limitata e non esteso a tutta la valle.

Jahweh, ospite di Abramo, è il faraone venuto in Palestina per punire le città che avevano compiuto contro di lui un peccato molto grande. Evidentemente si erano ribellate (come è appunto indicato in Gn. 14,4) ed egli le distrusse, catapultandovi zolfo e pece in fiamme ( dopo aver devastato i territori a sud del Mar Morto, come specificato in Gn. 14,4; è dopo queste devastazioni, mentre si dirige verso la valle del Giordano che il faraone si ferma al campo di Abramo).

Quando fu distrutta

Secondo i dati forniti da Genesi, Sodoma fu distrutta nel ventiquattresimo anno di permanenza di Abramo in Palestina, che, sulla base della corrispondenza stabilita fra la cronologia biblica e quella egizia, viene a coincidere con il terzo anno dopo la morte di Tutmosi III. Accadde, quindi, durante il regno del suo successore, Amenofi II.

Risulta in modo certo dai documenti storici che fra Tutmosi III ed Amenofi II ci sia stato un periodo di coreggenza di qualche anno, anche se gli egittologi non sono concordi circa la sua durata. La Genesi, però, offre per questo periodo riferimenti cronologici molto precisi e circostanziati, tanto da consentire di risolvere la questione in via definitiva. Amenofi II nel corso del suo regno effettuò soltanto due campagne militari. La prima, descritta in tre stele rinvenute ad Amada, Elefantina e Karnak,  e attribuita al suo secondo anno di regno, si svolse interamente in Siria [4]. La seconda fu effettuata nel nono anno del suo regno e si svolse nella penisola del Sinai e nella valle del Giordano, dove era scoppiata una rivolta che il faraone stroncò con ferocia e decisione, radendo al suolo diverse città [7]. Particolare di estremo interesse è che in questa campagna Amenofi II fece largo uso di sostanze incendiarie. La descrizione della distruzione di Sodoma fatta dalla Genesi è praticamente coincidente, tenuto conto del punto di vista delle due diverse fonti, con quella della campagna militare effettuata da Amenofi II in Palestina nel nono anno del suo regno, per cui si deve ritenere che descrivano entrambi lo stesso fatto storico. Era il ventiquattresimo anno di permanenza di Abramo in Palestina, il terzo dalla morte di Tutmosi III; se ne deve concludere che fra i due sovrani ci fu un periodo di correggenza di circa sei anni.

Perché fu distrutta

Le cronache egizie non si pronunciano circa le cause della rivolta, ma queste risultano immediatamente chiare sulla base della cronaca di Genesi. Subito dopo la morte del padre, Amenofi II dovette assicurarsi (com’era la prassi di quel periodo: i feudatari dell’impero egizio giuravano fedeltà personalmente al faraone in carica) della fedeltà dei propri sudditi. A quanto risulta dagli scritti che egli stesso fece scolpire un po' dovunque, Amenofi II aveva più muscoli che cervello, gli piaceva la violenza e aveva gusti alquanto macabri e sanguinari. Rientra nel suo carattere alieno dalla moderazione la prova di lealtà che pretese dai suoi sudditi palestinesi: "Elohim disse ad Abramo: "Tu osserverai la mia alleanza: tu e i tuoi discendenti, di generazione in generazione, dovrete rispettare il mio patto, vi impegnerete a circoncidere ogni maschio fra voi: reciderete il vostro prepuzio come segno del patto fra me e voi … così il mio patto sarà segnato sul vostro corpo. ". (Gn.17,3 ss).

La circoncisione era un'usanza egiziana, ben documentata in scritti e dipinti rinvenuti nelle tombe  egizie. Evidentemente Amenofi II voleva "egizianizzare" gli abitanti della Palestina, mediante un contrassegno verificabile, ed impose quindi a tutti i sudditi palestinesi di circoncidersi. Abramo si affrettò ad ubbidire (Gn. 17, 23); ma evidentemente non tutti gli interessati furono dello stesso avviso. La richiesta era di un genere tale da mettere a dura prova la fedeltà dei sudditi. Si scatenò una vasta opposizione al decreto ed una lunga serie di popoli si rifiutò di eseguire l'ordine. Il provvedimento riguardava una parte tale del corpo, per cui risultava del tutto naturale, per chi volesse dare tangibile dimostrazione del suo rifiuto e nel contempo infliggere la più bruciante delle umiliazioni al latore di quell'ordine, adottare nei suoi confronti il comportamento per cui Sodoma è rinomata nella storia. Gli emissari di Amenofi II incaricati di imporne l'esecuzione dovettero subire risposte irriferibili e, dato il carattere del faraone, non c'è da stupirsi che abbia deciso di sterminare i ribelli fino all'ultimo uomo.

Cronaca della distruzione

Era durante la stagione estiva (perché Abramo si trovava nella sua residenza estiva, a Ebron, e perché i faraoni conducevano le loro campagne militari soltanto d'estate) quando Amenofi II, dopo aver devastato le regioni del  Negev e del Paran, si diresse verso la valle del Giordano, passando da Ebron. "Abramo abitava presso le querce di Mamré. Un giorno, nell'ora più calda, mentre stava seduto all'ingresso della sua tenda, gli apparve Jahweh. Abramo si inchinò fino a terra e gli disse: "Mio Signore, ti prego, non andare oltre. Fermati, sono qui per servirti ... Intanto Jahweh si chiedeva: "devo tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare?" ... Così Jahweh disse ad Abramo: "Le accuse contro Sodoma e Gomorra sono tremende. Il peccato di quelle città è troppo grande. Voglio andare a vedere se queste accuse sono proprio vere; voglio saperlo ... Poi quegli uomini (da notare che qui la Bibbia si riferisce a Jahweh e ai suoi accompagnatori come a “uomini”, non esseri sovrannaturali) si alzarono e andarono a Sodoma” (Gn. 19, 22). Abramo li accompagnò; aveva evidentemente la piena fiducia e stima del faraone, che lo volle al suo fianco come consigliere.

Sodoma, splendida e orgogliosa capitale di un territorio paragonabile all'Eden  ("La valle del Giordano era tutta irrigata, prima che Jahweh distruggesse Sodoma e Gomorra, come il giardino di Jahweh, il paese d'Egitto, fin verso Soar" (Gn.13,10)), fu cara al cuore dei patriarchi. Abramo tentò di salvarla, intervenendo sul faraone e riuscendo a strappargli una promessa: "Se troverò dieci giusti nella città, non la distruggerò" (Gn.19,32). La conta dei "giusti", data la natura del contrassegno, era quanto mai agevole: bastava radunare tutti i maschi nella pubblica piazza e controllare se erano circoncisi. Questo era appunto nelle intenzioni dei due emissari del faraone (Gn.19,2). La Genesi tace su un particolare, che però risulta del tutto certo sulla base degli avvenimenti successivi: i due non giunsero in città da soli, ma accompagnati dall'intero esercito egizio, che prese posizione intorno alle mura; soltanto allora i due entrarono in città e dettarono le loro condizioni.

Lot, con grande affanno, cercò di mediare. La conta sulla pubblica piazza sarebbe stata oltraggiosa ed inaccettabile per i suoi concittadini; potevano farla in modo più discreto nel suo palazzo. Ma nonostante l'esercito schierato intorno alle mura, i sodomiti si rifiutarono di sottomettersi a questo umiliante controllo e, in un ultimo disperato sussulto di orgoglio, tentarono di mettere in atto sui due emissari e su Lot quell'azione che era divenuta ormai il simbolo della ribellione contro il faraone.

I due, però, avevano preso le loro precauzioni; qualche bomba incendiaria disperse la folla inferocita (Gn.19,11). Era la terribile arma segreta di Amenofi II, messa a punto dai suoi ingegneri: proiettili di zolfo, che venivano incendiati e catapultati sul nemico. La città era condannata. Ma Lot non sapeva rassegnarsi; tergiversava, appigliandosi ad ogni pretesto; dovettero trascinarlo via quasi con la forza. Se ne andò con l'animo gonfio di angoscia, trascinando con sé le figlie e la moglie che, distrutta dalla disperazione, non resse al dolore e morì di crepacuore alla vista del rogo in cui perivano i suoi cari (Genesi 19,26 dice che divenne una colonna di sale, espressione analoga alle nostre: restare di sale, di pietra o di stucco). Non appena se ne furono andati, centinaia di proiettili ardenti piovvero sulla città, che in pochi attimi fu ridotta ad un enorme braciere. Sodoma, nonostante le imprendibili mura edificate in doppia cinta dagli Icsos, fu ridotta ben presto ad un cumulo di macerie fumanti.

Gli scavi archeologici

Più di tremila anni dopo il professor John Gerstang, archeologo che effettuò una campagna di scavi di sei anni, a partire dal 1930, sul Tell es Sultan,  una collina artificiale in una grande oasi nella bassa valle del Giordano, formata dai detriti di innumerevoli città succedutesi sul posto nel corso di svariati millenni, così dipinge la grandiosità della distruzione delle fortificazioni che formavano la duplice cinta interna della città: "Lo spazio fra le due mura è riempito di macerie e di rottami. Si scorgono tracce evidenti di un vasto incendio, masse compatte di mattoni anneriti, pietre crepate, legname carbonizzato e cenere. Le case lungo il muro sono distrutte dal fuoco sino alle fondamenta, i tetti sono crollati sulle masserizie domestiche". L'analisi del carbonio  14, effettuata qualche anno dopo, conferma che l'incendio ha avuto luogo proprio all'epoca di Amenofi II.  I resoconti egizi di quella campagna militare, inoltre, confermano che Amenofi fece largo uso di sostanze incendiarie; in particolare riempì di fuoco una profonda trincea che circondava i suoi nemici: E’ la descrizione esatta di quanto scoperto da Gerstang a Tell es Sultan. Bibbia, storia, archeologia e analisi al radiocarbonio, quindi, concordano nel confermare che la città che si trovava su  quella collinetta di detriti fu distrutta da Amenofi II nel corso della sua seconda campagna militare, nel nono anno del suo regno.

Una fama ingiustificata

La città plurimillenaria pagò con l'annientamento definitivo la sua disperata ribellione e continuò a pagare il suo "peccato" nella storia, divenendo il simbolo stesso di ogni depravazione. Se la distruzione fisica fu giustificata, l'annientamento morale della città, che dura da millenni, è una grave ingiustizia operata nei confronti del suo popolo. Se peccato vi fu in Sodoma fu quello del suo orgoglioso rifiuto, fino all'ultimo sacrificio, di sottoporsi a disposizioni tiranniche, lesive della dignità dei suoi cittadini. Quella che a buon diritto poteva essere chiamata "la perla del Giordano" venne cancellata dalla faccia della terra e a differenza di Troia non trovò un poeta che ne cantasse la tragica gloria. A lei la storia ha riservato soltanto disprezzo e ludibrio. Beffa suprema, i primi archeologi che nel 1907 iniziarono a riportare alla luce le rovine della città, gli austriaci Ernst Sellin e Carl Watzinger, la scambiarono per un'altra e da allora Sodoma si vede negato anche il nome.

SODOMA e GERICO

Sellin e Watzinger nel corso dei loro scavi sul Tell es Sultan si imbatterono in un muro di cinta. Poiché nel libro di Giosuè si dice che Gerico era circondata da un muro, essi conclusero che quella collina doveva identificarsi con la Gerico di Giosuè. Vero è che furono aiutati nelle loro conclusioni dal fatto che lì vicino sorgeva la città moderna di Gerico, a sua volta costruita sulle rovine di una città che aveva lo stesso nome fin dai tempi dei re di Giuda.

La città era stata ricostruita durante il regno di Acab (874-853 a.C.), da un certo Chiel di Betel (1 Re 16,34), certamente nell’oasi dove si trova l’omonima città moderna, perché da allora in poi fu chiamata “la città delle palme”. Non è scritto, però, che la nuova Gerico sia stata edificata sulle rovine o nelle immediate vicinanze dell’antica. E in effetti, dall’analisi delle indicazioni fornite dal testo risulta praticamente certo che la Gerico di Giosuè doveva trovarsi almeno una ventina di km più a nord di quella attuale.

Innanzitutto essa si trovava a poca distanza dai guadi attraverso cui Giosuè attraversò il Giordano, che erano quelli di Adama (vedi Gs. 3,16), universalmente utilizzati nell’antichità, e dove oggi è stato costruito il principale ponte sul Giordano. In secondo luogo, i campi nei dintorni di Gerico erano coltivati a grano, non a palmeti; infatti gli ebrei si fermarono a mietere il grano, per la prima volta dopo “quaranta” anni nel deserto (Gs.5,11).  Ebbene, il grano non cresce nella bassa valle del Giordano, dove sorge l’attuale Gerico, perché a causa della grande depressione il clima è troppo torrido. Le colture di cereali nella valle del Giordano iniziano soltanto all’altezza di Adama, quella, appunto, in cui doveva sorgere la Gerico di Giosuè. Anche il resoconto della battaglia porta ad escludere che questa si identificasse col Tell es Sultan. Quest’ultimo è circondato da una doppia cinta di mura (come tutte le città fortificate dagli Icsos), mentre la Gerico di Giosuè aveva un muro singolo. Inoltre le mura di Tell es Sultan sono intatte, mentre quelle di Gerico erano state rase al suolo da Giosuè.

Tell es Sultan, quindi, non può in alcun modo essere identificato con la Gerico di Giosuè. La cosa è stata confermata in pieno dagli archeologi che hanno scavato la collina successivamente a Sellin a Watzinger, John Gerstang e l’inglese Kathleen Kenyon, che eseguì una campagna di scavi a partire dal 1953, scoprendo che la città era stata distrutta per l’ultima volta almeno due secoli prima di Giosuè, in pieno periodo della XVIII dinastia egizia. Le analisi al radiocarbonio 14 effettuate in seguito confermano che accadde proprio a cavallo del regno di Amenofi II.

Incredibilmente, però, le conclusioni che gli studiosi hanno tratto da questi risultati archeologici non sono state, come sarebbe logico aspettarsi, che l’identificazione di Tell es Sultan con la Gerico di Giosuè è sbagliata, ma al contrario che è … la narrazione biblica a sbagliare. In altre parole, il racconto biblico della distruzione di Gerico sarebbe stato inventato, perché quella città non esisteva più da lungo tempo ormai, quando arrivò Giosuè.

Non c’è dubbio, invece, che, in base alle indicazioni contenute in Genesi, le quali dichiarano in modo esplicito che Sodoma sorgeva nella grande oasi che si trova nella bassa valle del Giordano, ed in base ai risultati dell’archeologia, Tell es Sultan deve identificarsi con Sodoma. La città fu distrutta da Amenofi II, ma è ovvio che un’oasi così ricca e fertile non poteva rimanere spopolata per sempre. Quando re Acab decise di riedificare una città nella valle del Giordano, la scelta cadde inevitabilmente su questa oasi disabitata; ma quando si trattò di battezzarla, fra i nomi possibili di città che erano sorte un tempo in quell’area, Sodoma o Gerico, scelse il meno malfamato.

Sarebbe solo un atto di giustizia che questa città tanto diffamata venisse riabilitata e le venisse restituito il posto che le compete nella storia.

Dopo la distruzione, Tell es Sultan fu abbandonato e frequentato occasionalmente soltanto da beduini. Questo è coerente con la Bibbia che nel libro di Giosuè dice che la valle del Giordano fu assegnata in eredità a Obab, cognato di Mosè (in Giudici viene invece indicato come suo suocero). In ogni caso un pastore madianita, che continuò a utilizzare la valle, lui e si suoi discendenti, come un pascolo di nomadi. Fino a che Chiel non scelse quella ricca osai per costruirvi la sua nuova città, ribattezzata Gerico


[1] “All'inizio del nostro secolo, in seguito agli scavi già effettuati in Pa­lestina, l'interesse si rivolge anche a Sodoma e Gomorra. Esploratori si mettono alla ricerca delle città scomparse (. . .) All'estrema punta sud-est del Mar Morto vengono scoperte le rovine di un vasto abitato. Ancor oggi la località è chiamata Zoar. Gli esploratori esultano, perché Zoar (Segor] era una delle cinque ricche città della valle di Siddim. Ma gli scavi di prova subito effettuati procurano solo delusioni. La datazione delle rovine che vengono alla luce le indica come i resti di una città che qui fioriva nel primo Medioevo. Dell'antica Zoar del re di Baia (Gn. 14,2) e delle residenze annesse non si trova traccia alcuna” (W. Keller, op. cit., p. 86).

[2] “Secondo i dati forniti dai geologi, l'abbassamento dell'odierna valle del Giordano e del Mar Morto si è prodotto assai prima dell'era dei patriarchi. "La catastrofe non può essere stata causata da una eruzione vulcanica, perché in quella regione non ci sono mai stati vulcani" (Hans Bardtke, A. Lapple, La Bibbia oggi, Ed. Paoline, Milano 1976, p. 69).

[3] Non è possibile che la fossa del Giordano si sia formata appena 4000 anni fa; il Keller afferma: “Secondo i più recenti studi si potrebbe far risalire la formazione della fossa all'Oligocene. Non si tratta dunque di calcolare in migliaia, ma in milioni di anni (...) Solo più tardi si formò l'odierno Mar Morto. Ma anche ciò avvenne pur sempre nel tardo Pleistocene, quando l'uomo era già comparso, ma non si poteva ancora parlare di città. Una possibilità del tutto re­mota è tuttavia costituita dal fatto che nella zona in questione gli uomini dell'età della pietra vissero degli avvenimenti che, trasmessi di bocca in bocca e di gene­razione in generazione, confluirono infine nella tradizione delle "città" inabissa­te” (W. Keller, op. cit., p. 80).

[4] Le stele di Amada, Karnak ed Elefantina forniscono un resoconto frammentario della prima campagna militare condotta da Amenofi II, ma suffi­ciente a stabilire con relativa certezza l'area in cui si svolse. Il resoconto inizia con la distruzione di Smash-Edom, a non più di un giorno di marcia da Qatna, importante città 11 miglia a est di Homs. Amenofi attraversò poi l'Oronte e catturò Qatna. Poi diresse su Niy, famosa per le cacce all'elefante del padre e del bisnonno, dove venne accolto trionfalmente. Sventò un complotto a Ugarit, poi saccheggiò alcuni villaggi nelle vicinanze di Tjalki e infine convocò a Qadesh i principi siriani, a cui richiese un giuramento di fedeltà. Sulla via del ritorno ebbe ancora qualche scontro a Khashabu e nella pianura di Sharon. Tornò infine a Memfi carico di gloria e di bottino: 550 maryannu, 240 loro mogli, 640 cananei; 232 figli di principi, 323 figlie di principi, 270 suonatrici dei principi di ogni paese, con i loro strumenti musicali d'oro e d'argento. Totale 2214 prigionieri, 820 cavalli, 730 cocchi, insieme a tutte le armi del nemico.

[7] “La seconda campagna militare di Amenofi II (anno 9) fu di propor­zioni più modeste della prima, e il condottiero non si spinse col suo esercito più a nord nel Mar di Galilea. Molti dei posti nominati, Apheq, Yehem, Socho, Anisnaroth, sono citati anche negli elenchi di Tuthmosis III o nell'Antico Testa­mento [...] dopo il saccheggio e la cattura di importanti prigionieri, leggiamo che questi furono circondati con due fossati pieni di fuoco...” (A. Gardiner, op. cit., p. 184).


Vedi anche: - Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe
- Le mura di Gerico                             
- Gli apiru - non solo ebrei                 
- Abramo principe ariano                   
- Abramo il beduino                            
- Il padre di Abramo, Tare                  
- Per un piatto di lenticchie                
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